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ARTICOLI DA VIAGGIO mezzi di trasloco e altre restituzioni
parte quarta H.D.S. MAROQUINERIES
[ 5a figura inesistente ]
Dur. 08' 26"
L’esser-mezzo del mezzo consiste certamente nella sua usabilità. Ma questa a sua volta riposa nella pienezza dell’essere essenziale del mezzo. Questo essere è da noi indicato col termine di fidatezza [Verlässigkeit]. In virtù sua la contadina confida, attraverso il mezzo, nel tacito richiamo della terra; in virtù della fidatezza del mezzo essa è certa del suo mondo.[1]

E che Cosa ci sarebbe, di reale, in questo “suo” mondo?
Limitandoci alla certezze che alla contadina gli possono fornire il suo paio di scarpe, dovremmo iniziare mettendoci subito dentro:
- il mondo del calzolaio (allevamento, metallurgia, ecc., ossia il particolare mondo della produzione ad un certo stadio di sviluppo tecnologico);
- poi certamente il particolare mondo della distribuzione e il mondo dello scambio (a condizione che la produzione di patate eccede i bisogni della contadina - che magari non vuole rischiare il diabete o il distacco della retina nutrendosi esclusivamente delle patate del suo campo);
- quindi, se il “suo” mondo ha già superato lo stadio primitivo del baratto, dobbiamo metterci anche il particolarissimo  mondo del denaro[2]

A partire dalle scarpe, è bastata una più che sommaria rassegna per risucchiare un’astrazione (come il “mezzo”[3]) nel mondo reale e attuale ad un determinato stadio di sviluppo sociale.
E ora, in questo mondo, cosa troviamo d’altro se non merci e capitali?

Solo la produzione capitalistica fa della merce la forma generale di ogni prodotto.[4]

C’è d’altronde una “cosa” più cosa di una merce?
C’è forse un mezzo più mezzo del mezzo  del denaro?
Agente universale ed equivalente generale d’ogni cosa e di ogni umanità, il suo campo d’azione è il mercato-mondo-terra, dove realizza (nella più grande incertezza e indifferenza) gli infiniti scambi e le incessanti trasmutazioni di patate in scarpe, in guanti, in libri, in aringhe e panfili di lusso, e tutte le altre metamorfosi senza tregua di sedie in uomini e di uomini in scarpe o cappelli.

Il valore di scambio di un palazzo può essere espresso in un determinato numero di scatole di lucido per scarpe. I fabbricanti di lucido da scarpe di Londra hanno invece espresso in palazzi il valore di scambio delle loro scatole moltiplicate. Del tutto indifferenti, quindi, al loro naturale modo d’essere, senza riguardo per la natura specifica del bisogno per il quale esse sono valori d’uso, le merci si sovrappongono in quantità determinate, si sostituiscono una all’altra nello scambio, sono considerate equivalenti, e insomma, nonostante il loro aspetto variopinto, rappresentano la stessa unità.”[5]
- “Ma,  per me che non ho soldi, …dico che il denaro è una moneta e che la pittura è un altro tipo di moneta”[6] – dice Vincent completando così l’elenco delle equivalenze di tutte le cose per mezzo del denaro.
Piuttosto che dai sentieri interrotti della filosofia, è forse dalla base materiale su cui van Gogh ha poggiato quest’ultima sua spoetizzante considerazione che dovrebbe prendere avvio la comprensione positiva delle trasfigurazioni di banali scatole di lucido da scarpe in opere d’arte.[7]

E’ qui che le scarpe di van Gogh ci hanno portato; ed è qui che volevo arrivare.
Il resto – come diceva Giulio Turato per il disegno dell’orecchio – fa parte dell’ornato e della decorazione, non certo della figura del corpo umano.

[1] - Heidegger, Origine Ni68, pp. 19-20
[2] - Vedi anche Simmel, in Materiali, qui sotto.
[3] -
Questo filosofico “mezzo” puzza di teologia se non si presenta assieme alla sua negazione, quella cioè di essere un “fine”; in questo caso le scarpe sono sia un mezzo (per la contadina) che un “fine” (per il calzolaio). Credo sia un tratto essenziale della teologia e del pensiero religioso, far prevalere in ogni cosa il carattere di “mezzo” per trascenderne l’immanenza. E’, in definitiva, assieme ad una svalutazione dell’oggetto anche una svalutazione del soggetto. Ma nell’epoca attuale ci sono tutte le premesse per togliere, alle cose e all’uomo, la separatezza che ancora li contrappone nella natura e nella società parziale (cioè, divisa in classi). Il balzo storico nella forma sociale successiva a quella capitalistica, scioglierà anche la questione filosofica posta da Heidegger: Non è possibile scoprir nulla circa la cosità dell’opera fin che non si è chiarito il puro stare-in-sé dell’opera. Ma è possibile accedere all’opera in sé stessa? Perché ciò potesse felicemente riuscire bisognerebbe poter sottrarre a tutti i rapporti che essa ha con ciò che essa stessa non è, onde lasciarla, da sé, riposare in sé stessa (Heidegger, Origine Ni68,  p. 25). Ma non si limiterà a far riposare soltanto l’opera d’arte, ma ogni singola cosa e l’uomo stesso (Zeus si tenga pure l’Olimpo!). - Forse l’arte astratta o informale ha cercato di rispondere per proprio conto negando il carattere di “mezzo” ai suoi prodotti - rischiando anche la negazione di sé stessa spingendosi verso il decorativismo, che è pur sempre una forma espressiva elementare che attiene alle esigenze umane, non certo divine.
[4]  - K. Marx, Il capitale, Libro I capitolo VI inedito, La nuova Italia, Firenze 1969, pag. 105.
[5] - Marx, Per la critica, cit. p.39.
[6] - Vincent a Theo, Arles 3 febbraio 1889 (n.745-576).
[7] - Arthur C. Danto, The Transfiguration of the Commonplace, A Philosophy of Art, 1981. - La domanda generale che si deve porre non riguarda tanto la comprensione della “trasfigurazione del banale” (che, data l’indifferenza - per come è stata richiamata in campo dalle determinazioni storiche - è un evento fatale, esso stesso in qualche modo banale) quanto la comprensione del piacere che tale “banale” ci procura, o può procurarci. – Nell’attuale fase di sviluppo del capitale finanziario, non è secondario chiederci (con uno dei miei soliti azzardi omologatici) se l’azione della ricchezza fittizia (capitali e beni fittizi) non abbia una controparte produttrice di “arte fittizia”…     






§ [ 5° figura inesistente ]
Nota 2 - “Il significato filosofico del denaro consiste nel fatto che all’interno del mondo pratico esso costituisce l’immagine più chiara e la realizzazione più definitiva della formula dell’essere in generale, in base alla quale le cose trovano il loro senso l’una rispetto all’altra e la reciprocità dei rapporti, in cui sono sospese, determina il loro essere e essere così. Costituisce un aspetto fondamentale del mondo spirituale il fatto che noi incorporiamo in particolari formazioni i rapporti tra più elementi dell’essere; queste formazioni costituiscono evidentemente anche essenze di per s sostanziali, ma la loro rilevanza per noi consiste soltanto nel fatto che esse permettono di visualizzare un rapporto, che è legato a loro in modo ora più aperto, ora più stretto. Così, la fede di matrimonio, come anche una lettera, un pegno, un’uniforme, è simbolo o portatore di un rapporto tradizionale o intellettuale, giuridico o politico tra uomini, così ogni oggetto sacro rappresenta il rapporto materializzato tra l’uomo e il suo Dio. […] Soltanto la ricerca metafisica, che persegue la conoscenza nella sua direzione empirica ma al di là dei confini empirici, può a sua volta risolvere questo dualismo non lasciando più sussistere alcun elemento sostanziale, ma dissolvendolo in interazioni e processi i cui portatori sono soggetti allo stesso destino. La coscienza pratica ha però trovato una forma con cui unire i processi di rapporto e di interazione, nei quali scorre la realtà, con l’esistenza sostanziale con la quale la prassi deve rivestire i rapporti astratti in quanto tali. Tale proiezione di puri rapporti in oggetti particolari costituisce una delle più grandi realizzazioni dello spirito. In essi viene sì incorporato lo spirito, ma soltanto per rendere ciò che è corporeo recipiente di ciò che è spirituale, dando a questo un’efficacia più piena e più vitale. La facoltà di produrre tali oggetti simbolici festeggia nel denaro il suo maggior trionfo.” [Georg Simmel, Filosofia del denaro, ed. UTET, Torino 1984, p. 192-193]